Targhe e lapidi (pag.1)
Corso Carlo Alberto (Martiri del Fascismo)

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In corso Carlo Alberto, all'altezza del civico 58, si può notare una targa (nelle foto cerchiata in rosso) completamente consumata e impossibile da leggersi.
Questa appare anche nella foto in bianco e nero scattata nel 1930 da Emilio Corsini (foto oggi di proprietà della Biblioteca Benincasa grazie proprio alla donazione voluta dalla famiglia Corsini per mantenere pubblico il patrimonio fotografico-storico della nostra città).
La targa, secondo quanto ho potuto ricostruire, starebbe a ricordare "due martiri del fascismo" uccisi ad Ancona, probabilmente proprio in quel punto. Si tratta dei soldati Ubaldo Marchiani e Giovanni Ramella.
"Marchiani Ubaldo, nato a Firenze il 22-6-1900, ucciso da alcuni Anarchici ad Ancona mentre tentava di fare scudo con il proprio corpo ad un ufficiale del suo reggimento.
Ramella Giovanni, nato a Ostiano (Cremona) 17-7-1898, gravemente ferito nel corso della rivolta anarchica di Ancona, spirò alcune ore dopo all’ospedale". Entrambi vennero uccisi il 26 giugno del 1920. Essendo il Ramella un Tenente, è possibile che il Marchiani (soldato) abbia cercato di salvare dunque, ma senza riuscirci, l'ufficiale.
Per la morte dei due, vennero imputati Nazzareno Sabini (detto Sabino l'Anarchico) ed il figlio, entrambi pianaroli. Condannati a morte furono poi assolti ma subirono in vita parecchie angherie. Nazzareno, e tutta la stirpe Sabini, era molto conosciuta al Piano dove, nei pressi del Caffè Nazionale negli anni '40, avevano anche un'edicola.
Confrontando infine la prima foto con quelle attuali, è facile notare come oggi manchi l'ultima parte del palazzo.
Questa appare anche nella foto in bianco e nero scattata nel 1930 da Emilio Corsini (foto oggi di proprietà della Biblioteca Benincasa grazie proprio alla donazione voluta dalla famiglia Corsini per mantenere pubblico il patrimonio fotografico-storico della nostra città).
La targa, secondo quanto ho potuto ricostruire, starebbe a ricordare "due martiri del fascismo" uccisi ad Ancona, probabilmente proprio in quel punto. Si tratta dei soldati Ubaldo Marchiani e Giovanni Ramella.
"Marchiani Ubaldo, nato a Firenze il 22-6-1900, ucciso da alcuni Anarchici ad Ancona mentre tentava di fare scudo con il proprio corpo ad un ufficiale del suo reggimento.
Ramella Giovanni, nato a Ostiano (Cremona) 17-7-1898, gravemente ferito nel corso della rivolta anarchica di Ancona, spirò alcune ore dopo all’ospedale". Entrambi vennero uccisi il 26 giugno del 1920. Essendo il Ramella un Tenente, è possibile che il Marchiani (soldato) abbia cercato di salvare dunque, ma senza riuscirci, l'ufficiale.
Per la morte dei due, vennero imputati Nazzareno Sabini (detto Sabino l'Anarchico) ed il figlio, entrambi pianaroli. Condannati a morte furono poi assolti ma subirono in vita parecchie angherie. Nazzareno, e tutta la stirpe Sabini, era molto conosciuta al Piano dove, nei pressi del Caffè Nazionale negli anni '40, avevano anche un'edicola.
Confrontando infine la prima foto con quelle attuali, è facile notare come oggi manchi l'ultima parte del palazzo.
Via Montebello (La Settimana Rossa)

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In via Montebello una targa ricorda la morte, avvenuta il 7 giugno 1914, di tre giovani dimostranti: Antonio Casaccia, di 24 anni, e Nello Budini, di 17 anni, entrambi repubblicani, e dell'anarchico Attilio Gianbrignoni, di 22 anni. Mentre i primi due morirono una volta giunti in ospedale, Gianbrignoni morì in strada. Oltre a loro, vi furono anche cinque feriti tra la folla e diciassette tra i carabinieri.
Era il periodo che venne chiamato "La Settimana Rossa". Una insurrezione popolare che scoppiò in città per espandersi poi anche in altre regioni d'Italia, tra il 7 ed il 14 giugno del 1914. Una rivolta attuata per contestare una serie di riforme introdotte da Giovanni Giolitti.
Il giorno in cui morirono i tre manifestanti (nella foto a sinistra vi è una cartolina in loro memoria), fu proprio il primo giorno di rivolta, quando le forze di Sinistra vollero trasformare quella domenica in una giornata antimilitarista tenendo un comizio contro la guerra e per la liberazione di Moroni e Masetti alla “Villa Rossa” di Ancona (sede dei Repubblicani, che si trovava sulla destra scendendo per via Montebello superando la 'targa'). All'adunanza presero la parola Nenni per i Repubblicani, Palizza per i sindacalisti ed Errico Malatesta per gli anarchici. Al termine dei discorsi vi fu uno scontro tra i manifestanti, intenti a raggiungere piazza Roma; ed i carabinieri che, sparando, dopo aver ripetutamente fatto squilli di tromba per contenere gli animi, uccisero Budini, Casaccia e Giambrignoni. In quell'occasione i dimostranti affermarono che i colpi furono sparati dai militari dell'Arma, che erano inoltre oggetto di lanci di sassi e mattoni dalle finestre delle vicine abitazioni. I carabinieri affermarono invece che i colpi erano partiti dalla folla stessa e che i tre, dunque, erano stati uccisi dal 'fuoco amico'.
Era il periodo che venne chiamato "La Settimana Rossa". Una insurrezione popolare che scoppiò in città per espandersi poi anche in altre regioni d'Italia, tra il 7 ed il 14 giugno del 1914. Una rivolta attuata per contestare una serie di riforme introdotte da Giovanni Giolitti.
Il giorno in cui morirono i tre manifestanti (nella foto a sinistra vi è una cartolina in loro memoria), fu proprio il primo giorno di rivolta, quando le forze di Sinistra vollero trasformare quella domenica in una giornata antimilitarista tenendo un comizio contro la guerra e per la liberazione di Moroni e Masetti alla “Villa Rossa” di Ancona (sede dei Repubblicani, che si trovava sulla destra scendendo per via Montebello superando la 'targa'). All'adunanza presero la parola Nenni per i Repubblicani, Palizza per i sindacalisti ed Errico Malatesta per gli anarchici. Al termine dei discorsi vi fu uno scontro tra i manifestanti, intenti a raggiungere piazza Roma; ed i carabinieri che, sparando, dopo aver ripetutamente fatto squilli di tromba per contenere gli animi, uccisero Budini, Casaccia e Giambrignoni. In quell'occasione i dimostranti affermarono che i colpi furono sparati dai militari dell'Arma, che erano inoltre oggetto di lanci di sassi e mattoni dalle finestre delle vicine abitazioni. I carabinieri affermarono invece che i colpi erano partiti dalla folla stessa e che i tre, dunque, erano stati uccisi dal 'fuoco amico'.
Via Birarelli, via dell'Ospizio (Chiesa di Sant'Anna)

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"Di fronte a questo palazzo
già degli Acciaiuoli
che fu vescovile presidenza dal 1763 al 1816
ed ospitò Pio VI e Pio VII
sorgeva l’antichissima chiesa
di Santa Maria di Porta Cipriana
poi Sant’Anna dei Greci Uniti
distrutta durante la seconda guerra mondiale.
Il Comune a ricordo pose nel 1956"
E' quanto si può leggere nella targa (purtroppo crepata, e in parte mancante di un pezzo) che si trova sul muro del vecchio Palazzo Acciajuoli, (che fu di proprietà della famiglia del vescovo Francesco Acciajuoli e che ha ospitato fino a pochi anni fa l'Istituto scolastico Fermi).
Proprio di fronte alla targa, dove oggi si trovano alcuni uffici dell'Inrca; lì dove vi è il praticello, si trovava la chiesa di Santa Maria di Porta Cipriana divenuta poi di Sant'Anna (indicata dalla freccia nella foto in bianco e nero).
Una chiesa nata come parrocchia nel 1200 e che rimase tale fino al 1524 ovvero fino a quando una bolla di papa Clemente VII la concesse, il 21 agosto, alla Comunità greca di Ancona che ne cambiò il nome chiamandola Sant'Anna. Una chiesa che, a dir la verità, già in passato veniva frequentata dai greci dato che Paolo Paleologo, patriarca latino di Costantinopoli, l'aveva avuta dal Comune di Ancona come appoggio per recarsi a Roma.
'Porta Cipriana' deriva invece dalla vicina porta di cui oggi è rimasto solo quell'arco che taglia via Birarelli, vicino alle scalette che salgono per via dell'Ospizio. Della chiesa non vi è invece più nulla.
già degli Acciaiuoli
che fu vescovile presidenza dal 1763 al 1816
ed ospitò Pio VI e Pio VII
sorgeva l’antichissima chiesa
di Santa Maria di Porta Cipriana
poi Sant’Anna dei Greci Uniti
distrutta durante la seconda guerra mondiale.
Il Comune a ricordo pose nel 1956"
E' quanto si può leggere nella targa (purtroppo crepata, e in parte mancante di un pezzo) che si trova sul muro del vecchio Palazzo Acciajuoli, (che fu di proprietà della famiglia del vescovo Francesco Acciajuoli e che ha ospitato fino a pochi anni fa l'Istituto scolastico Fermi).
Proprio di fronte alla targa, dove oggi si trovano alcuni uffici dell'Inrca; lì dove vi è il praticello, si trovava la chiesa di Santa Maria di Porta Cipriana divenuta poi di Sant'Anna (indicata dalla freccia nella foto in bianco e nero).
Una chiesa nata come parrocchia nel 1200 e che rimase tale fino al 1524 ovvero fino a quando una bolla di papa Clemente VII la concesse, il 21 agosto, alla Comunità greca di Ancona che ne cambiò il nome chiamandola Sant'Anna. Una chiesa che, a dir la verità, già in passato veniva frequentata dai greci dato che Paolo Paleologo, patriarca latino di Costantinopoli, l'aveva avuta dal Comune di Ancona come appoggio per recarsi a Roma.
'Porta Cipriana' deriva invece dalla vicina porta di cui oggi è rimasto solo quell'arco che taglia via Birarelli, vicino alle scalette che salgono per via dell'Ospizio. Della chiesa non vi è invece più nulla.
Mole Vanvitelliana (L'eroismo dei finanzieri Maganuco e Grassi)

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"Le guardie di finanza Grassi Carlo e Maganuco Giuseppe
Vigili scolte
Devote al dovere e alla Patria
osarono opporsi con le armi a 59 militari della marina austriaca
qui giunti di sorpresa nella notte del 6 aprile 1918
per impadronirsi dei Mas ormeggiati nel porto e sostennero da soli un conflitto cruento
finché accorse alla testa di una pattuglia il brigadiere dei Carabinieri Reali Guadagnini Anarseo
che audacemente intimò ed ottenne la resa dei nemici.
I cittadini memori questo ricordo posero
XV Nov. MCMXXVI - Anno VI - E.F."
E' quanto si legge (anche in questo caso, purtroppo, difficilmente) sulla lapide murata al medaglione di bronzo visibile alla Mole dopo che, nel 1918, un gruppo di circa sessanta sabotatori della marina asburgica sbarcò di notte a nord di Ancona per affondare le navi italiane nel porto di Ancona e scappare con i Mas. I sabotatori riuscirono a superare i controlli grazie all'oscurità e alla presenza di italo-asburgici istriani che parlavano italiano, ma all'altezza della Mole vennero fermati da due militari della Guardia di Finanza che si erano insospettiti: Carlo Grassi e Giuseppe Maganuco. Fermandoli per chiedere di poterli identificare, questi si sentirono scoperti e reagirono. Maganuco fu ferito mentre Grassi riuscì a dare l'allarme richiamando l'attenzione di una pattuglia di carabinieri comandata dal brigadiere Anarseo Guadagnini. I sabotatori furono costretti ad arrendersi.
La storia riproposta di seguito è raccontata in uno dei due tomi 'Le Fiamme Gialle d'Italia', ed è scritta dal Generale di Brigata Sante Laria. Editore: Luigi Alfieri - Milano - 1930.
"Nella notte dal 4 al 5 aprile 1918, verso le ore due, un drappello di sessantadue tra ufficiali e marinai austriaci, guidati da tenete di vascello Weith, riuscirono a sbarcare sulla costa marchigiana, poco a sud di Senigallia, in località Marzocca.
Protetti dalle tenebre, che rendevano impossibile rilevare quelle lievi particolarità della divisa, che distinguono appena i marinai delle diverse nazioni, parlando ad alta voce in dialetto veneziano, poterono percorrere buon tratto della stradale litoranea in direzione di Ancona per poi nascondersi, sul far dell'alba, in una casa colonica, di cui sequestrarono gli abitanti, a sud di Falconara Monte. La sera dello stesso giorno 5, verso le ore 22, gli Austriaci abbandonarono il rifugio e, ricorrendo allo stratagemma della notte precedente, riuscirono a penetratre in Ancona, dove si portarono all'ancoraggio di una squadriglia di Mas; quella del nostro comandante Rizzo.
Sul marciapiede del Deposito franco, edificio del Vanvitelli che si affaccia sullo specchio d'acqua, in cui intendeva operare il manipolo austriaco, prestavano servizio, a distanza di pochi metri, le guardie Giuseppe Maganuco e Carlo Grassi.
Anch'esse dapprima furono vittime dell'astuzia, che fino al quel momento aveva meravigliosamente favorito i marinai austriaci; sicché questi poterono sfilare ad uno ad uno loro fianco, sullo stesso marciaronda dal quale i nostri vigilavano.
Ma nella mente dei soldati di finanza, adusati alla necessaria diffidenza, balenò un sospetto e, sebbene soli, di fronte a così grosso numero, vollero sapere, formularono domande, richiesero qualche documento.
Mentre però il drappello si andava per via Nazionale, due marinai, il tenente Mario Casari (morto a Trento nel gennaio del 1930) e un altro irredento se ne staccarono e favoriti dall'oscurità si allontanarono.
Incontrati due operai, rivelarono di essere due marinai austriaci, non italiani, e chiesero di essere condotti a riferire quanto si stava tentando, alle autorità. Furono accompagnati alla vicina stazione dei Carabinieri Reali.
Uno degli Austriaci s'indispettì o vide in pericolo il successo dell'impresa che, indiscutibilmente, era stata iniziata ed avviata sotto buoni auspici, e pensò che era giunto il momento di abbandonare i procedimenti della frode per adottare quelli della forza.
Una pugnalata colpì improvvisamente alle spalle la guardia Grassi, che s'abbattè al suolo gravemente ferita.
L'atto proditorio ed inconsiderato svelò pienamente la realtà della situazione al Maganuco che, solo contro sessanta avversari, non ebbe un momento d'incertezza e d'esitazione. Imbracciò il fucile e, retrocedendo sul marciaronda strettissimo, si portò fino al corpo di guardia dove, col petto, sbarrò l'unica porta di accesso, che costituiva anche l'unica via di ritorno e di salvezza per gli Austriaci. Di là egli iniziò il fuoco. Agli spari accorsero i compagni ed una pattuglia di carabinieri, che catturarono quei temerari sleali senza incontrare resistenza.
Le due guardie Carlo Grassi e Giuseppe Maganuco, motu proprio di S.M. il Re furono decorate con medaglie d'argento al valore militare.
Essi avevano divisato di rispondere in modo brillante alla recente 'beffa di Buccari', con un colpo di mano: impadronirsi, nel suo stesso ancoraggio della squadriglia dei Mas dell'Affondatore, e condurla a Pola dopo d'aver rinnovato, sotto le batterie italiane, che difendevan il porto di Ancona, la sfida di Faà di Bruno.
Una povera guardia li indusse a miglior consiglio: essi gettarono in mare le armi, di cui erano largamente forniti, levarono le mani in alto, e si avviarono a mangiare in qualche nostro campo di concentramento il buon pane fragante, di cui forse avevano perduto il ricordo. Poichè l'eroismo non è facile cosa".
Nella foto, ripresa dal libro, Maganuco e Grassi sembrano posare vicino al medaglione di bronzo appena murato alla Mole, nel punto esatto dove avvennero i fatti.
Vigili scolte
Devote al dovere e alla Patria
osarono opporsi con le armi a 59 militari della marina austriaca
qui giunti di sorpresa nella notte del 6 aprile 1918
per impadronirsi dei Mas ormeggiati nel porto e sostennero da soli un conflitto cruento
finché accorse alla testa di una pattuglia il brigadiere dei Carabinieri Reali Guadagnini Anarseo
che audacemente intimò ed ottenne la resa dei nemici.
I cittadini memori questo ricordo posero
XV Nov. MCMXXVI - Anno VI - E.F."
E' quanto si legge (anche in questo caso, purtroppo, difficilmente) sulla lapide murata al medaglione di bronzo visibile alla Mole dopo che, nel 1918, un gruppo di circa sessanta sabotatori della marina asburgica sbarcò di notte a nord di Ancona per affondare le navi italiane nel porto di Ancona e scappare con i Mas. I sabotatori riuscirono a superare i controlli grazie all'oscurità e alla presenza di italo-asburgici istriani che parlavano italiano, ma all'altezza della Mole vennero fermati da due militari della Guardia di Finanza che si erano insospettiti: Carlo Grassi e Giuseppe Maganuco. Fermandoli per chiedere di poterli identificare, questi si sentirono scoperti e reagirono. Maganuco fu ferito mentre Grassi riuscì a dare l'allarme richiamando l'attenzione di una pattuglia di carabinieri comandata dal brigadiere Anarseo Guadagnini. I sabotatori furono costretti ad arrendersi.
La storia riproposta di seguito è raccontata in uno dei due tomi 'Le Fiamme Gialle d'Italia', ed è scritta dal Generale di Brigata Sante Laria. Editore: Luigi Alfieri - Milano - 1930.
"Nella notte dal 4 al 5 aprile 1918, verso le ore due, un drappello di sessantadue tra ufficiali e marinai austriaci, guidati da tenete di vascello Weith, riuscirono a sbarcare sulla costa marchigiana, poco a sud di Senigallia, in località Marzocca.
Protetti dalle tenebre, che rendevano impossibile rilevare quelle lievi particolarità della divisa, che distinguono appena i marinai delle diverse nazioni, parlando ad alta voce in dialetto veneziano, poterono percorrere buon tratto della stradale litoranea in direzione di Ancona per poi nascondersi, sul far dell'alba, in una casa colonica, di cui sequestrarono gli abitanti, a sud di Falconara Monte. La sera dello stesso giorno 5, verso le ore 22, gli Austriaci abbandonarono il rifugio e, ricorrendo allo stratagemma della notte precedente, riuscirono a penetratre in Ancona, dove si portarono all'ancoraggio di una squadriglia di Mas; quella del nostro comandante Rizzo.
Sul marciapiede del Deposito franco, edificio del Vanvitelli che si affaccia sullo specchio d'acqua, in cui intendeva operare il manipolo austriaco, prestavano servizio, a distanza di pochi metri, le guardie Giuseppe Maganuco e Carlo Grassi.
Anch'esse dapprima furono vittime dell'astuzia, che fino al quel momento aveva meravigliosamente favorito i marinai austriaci; sicché questi poterono sfilare ad uno ad uno loro fianco, sullo stesso marciaronda dal quale i nostri vigilavano.
Ma nella mente dei soldati di finanza, adusati alla necessaria diffidenza, balenò un sospetto e, sebbene soli, di fronte a così grosso numero, vollero sapere, formularono domande, richiesero qualche documento.
Mentre però il drappello si andava per via Nazionale, due marinai, il tenente Mario Casari (morto a Trento nel gennaio del 1930) e un altro irredento se ne staccarono e favoriti dall'oscurità si allontanarono.
Incontrati due operai, rivelarono di essere due marinai austriaci, non italiani, e chiesero di essere condotti a riferire quanto si stava tentando, alle autorità. Furono accompagnati alla vicina stazione dei Carabinieri Reali.
Uno degli Austriaci s'indispettì o vide in pericolo il successo dell'impresa che, indiscutibilmente, era stata iniziata ed avviata sotto buoni auspici, e pensò che era giunto il momento di abbandonare i procedimenti della frode per adottare quelli della forza.
Una pugnalata colpì improvvisamente alle spalle la guardia Grassi, che s'abbattè al suolo gravemente ferita.
L'atto proditorio ed inconsiderato svelò pienamente la realtà della situazione al Maganuco che, solo contro sessanta avversari, non ebbe un momento d'incertezza e d'esitazione. Imbracciò il fucile e, retrocedendo sul marciaronda strettissimo, si portò fino al corpo di guardia dove, col petto, sbarrò l'unica porta di accesso, che costituiva anche l'unica via di ritorno e di salvezza per gli Austriaci. Di là egli iniziò il fuoco. Agli spari accorsero i compagni ed una pattuglia di carabinieri, che catturarono quei temerari sleali senza incontrare resistenza.
Le due guardie Carlo Grassi e Giuseppe Maganuco, motu proprio di S.M. il Re furono decorate con medaglie d'argento al valore militare.
Essi avevano divisato di rispondere in modo brillante alla recente 'beffa di Buccari', con un colpo di mano: impadronirsi, nel suo stesso ancoraggio della squadriglia dei Mas dell'Affondatore, e condurla a Pola dopo d'aver rinnovato, sotto le batterie italiane, che difendevan il porto di Ancona, la sfida di Faà di Bruno.
Una povera guardia li indusse a miglior consiglio: essi gettarono in mare le armi, di cui erano largamente forniti, levarono le mani in alto, e si avviarono a mangiare in qualche nostro campo di concentramento il buon pane fragante, di cui forse avevano perduto il ricordo. Poichè l'eroismo non è facile cosa".
Nella foto, ripresa dal libro, Maganuco e Grassi sembrano posare vicino al medaglione di bronzo appena murato alla Mole, nel punto esatto dove avvennero i fatti.
Via Birarelli (Oltre 300 morti nel rifugio antiaereo)

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"Il 1° novembre 1943,
cercando salvezza dal più terribile bombardamento aereo su Ancona
qui
oltre trecento cittadini
trovarono morte.
L'amministrazione comunale
a ricordo delle vittime innocenti
e delle sciagure immani che la guerra provoca
pose
il 1° novembre 1961."
Di seguito, la relazione della Prefettura di Ancona e del Comitato Provinciale di protezione anti aerea pubblicata sul volume "Bombardamenti su Ancona e provincia 1943/1944":
"Alle ore 11 e 40' del giorno 1 novembre c.a. è stata allarmata la provincia di Ancona per formazione di aerei nemici segnalati dal Radio localizzatore germanico a circa 30 Km. dalla città. Verso le ore 11 e 55' alcuni aerei, probabilmente di detta formazione, sganciavano qualche bomba dirompente sulla zona ferroviaria della stazione centrale senza per altro causare nuovi danni agli impianti ferroviari per la maggior parte sconvolti dalla precedente incursione del giorno 16 ottobre u.s., che ebbe per obbiettivo principale detta stazione. È stata invece colpita la via De Pinedo nei pressi del Cavalcavia ed un tratto della diramazione principale dell'acquedotto Comunale sottoposto alla strada stessa è andato distrutto.
Sucessivamente, verso le ore 12 e 45' circa, altre tre grosse formazioni, di circa 24 apparecchi quadrimotori ciascuno, provenienti dal mare con rotta Sud Est - Nord Ovest, all'altezza di Falconara Marittima dirottavano ad una quota media dai 1.500 a 2.000 metri, investendo la città di Ancona, lato mare, all'altezza del porto e del Cantiere Navale che costituirono l'obbiettivo principale dell'incursione effettuatasi in tre ondate successive a brevissima distanza l'una dall'altra. Data la nuova direzione assunta dagli aerei all'atto dell'attacco, gli obbiettivi ritenuti principali, come di fatti lo sono stati, furono investiti nel senso della profondità tanto che molte bombe colpirono abitazioni civili, chiese ed altri edifici cittadini, sia per le immediate vicinanze di essi agli obbiettivi o sia perché considerati nella mentalità degli attaccanti come altrettanti punti da colpire. Né gli aerei da caccia né la difesa attiva terrestre sono entrate in azione. L'attacco svolto dai bombardieri nemici ha durato circa 20 minuti, ma è stato assai violento ed ha causato danni ingenti alla città. [.....]"Purtroppo anche il rifugio aperto in roccia marnosa pei detenuti, ed in corso di completamento, dove s'era riversata anche parte degli abitanti le case prossime è stato raggiunto ad uno degli imbocchi. Le bombe certo a grappolo e, comunque, di calibro da ritenersi per gli effetti eccezionali hanno avuto ragione della protezione costituita dalla falda collinare marnosa, nella quale è stata perforata la galleria, nonché delle due quinte sfalsate in muratura di mattoni costruite come d'uso a protezione dell'imbocco del ramo colpito e seguito da altra quinta di sacchi a terra. Per non essendosi avuta, per esistenza di queste ultime opere di presidio, proiezione di materia, la incidenza assiale degli ordigni sull'imbocco ha sottoposto il ramo di galleria, cui questo dava accesso, alla nota azione di soffio e successiva depressione, con deleteri effetti sugli organi interni delle persone che ne sono rimaste investite.
Non è stato possibile accertare il numero delle persone che hanno trovato la morte nel luttuoso incidente, perchè estratte circa 150 vittime, non è stata più possibile l'estrazione delle altre ed il ricovero stesso è stato chiuso con muri alle imboccature trasformandolo così in tomba. Da informazioni assunte si calcola che in esso erano rifugiate dalle 400 alle 500 persone delle quali pochissime hanno potuto salvarsi."
cercando salvezza dal più terribile bombardamento aereo su Ancona
qui
oltre trecento cittadini
trovarono morte.
L'amministrazione comunale
a ricordo delle vittime innocenti
e delle sciagure immani che la guerra provoca
pose
il 1° novembre 1961."
Di seguito, la relazione della Prefettura di Ancona e del Comitato Provinciale di protezione anti aerea pubblicata sul volume "Bombardamenti su Ancona e provincia 1943/1944":
"Alle ore 11 e 40' del giorno 1 novembre c.a. è stata allarmata la provincia di Ancona per formazione di aerei nemici segnalati dal Radio localizzatore germanico a circa 30 Km. dalla città. Verso le ore 11 e 55' alcuni aerei, probabilmente di detta formazione, sganciavano qualche bomba dirompente sulla zona ferroviaria della stazione centrale senza per altro causare nuovi danni agli impianti ferroviari per la maggior parte sconvolti dalla precedente incursione del giorno 16 ottobre u.s., che ebbe per obbiettivo principale detta stazione. È stata invece colpita la via De Pinedo nei pressi del Cavalcavia ed un tratto della diramazione principale dell'acquedotto Comunale sottoposto alla strada stessa è andato distrutto.
Sucessivamente, verso le ore 12 e 45' circa, altre tre grosse formazioni, di circa 24 apparecchi quadrimotori ciascuno, provenienti dal mare con rotta Sud Est - Nord Ovest, all'altezza di Falconara Marittima dirottavano ad una quota media dai 1.500 a 2.000 metri, investendo la città di Ancona, lato mare, all'altezza del porto e del Cantiere Navale che costituirono l'obbiettivo principale dell'incursione effettuatasi in tre ondate successive a brevissima distanza l'una dall'altra. Data la nuova direzione assunta dagli aerei all'atto dell'attacco, gli obbiettivi ritenuti principali, come di fatti lo sono stati, furono investiti nel senso della profondità tanto che molte bombe colpirono abitazioni civili, chiese ed altri edifici cittadini, sia per le immediate vicinanze di essi agli obbiettivi o sia perché considerati nella mentalità degli attaccanti come altrettanti punti da colpire. Né gli aerei da caccia né la difesa attiva terrestre sono entrate in azione. L'attacco svolto dai bombardieri nemici ha durato circa 20 minuti, ma è stato assai violento ed ha causato danni ingenti alla città. [.....]"Purtroppo anche il rifugio aperto in roccia marnosa pei detenuti, ed in corso di completamento, dove s'era riversata anche parte degli abitanti le case prossime è stato raggiunto ad uno degli imbocchi. Le bombe certo a grappolo e, comunque, di calibro da ritenersi per gli effetti eccezionali hanno avuto ragione della protezione costituita dalla falda collinare marnosa, nella quale è stata perforata la galleria, nonché delle due quinte sfalsate in muratura di mattoni costruite come d'uso a protezione dell'imbocco del ramo colpito e seguito da altra quinta di sacchi a terra. Per non essendosi avuta, per esistenza di queste ultime opere di presidio, proiezione di materia, la incidenza assiale degli ordigni sull'imbocco ha sottoposto il ramo di galleria, cui questo dava accesso, alla nota azione di soffio e successiva depressione, con deleteri effetti sugli organi interni delle persone che ne sono rimaste investite.
Non è stato possibile accertare il numero delle persone che hanno trovato la morte nel luttuoso incidente, perchè estratte circa 150 vittime, non è stata più possibile l'estrazione delle altre ed il ricovero stesso è stato chiuso con muri alle imboccature trasformandolo così in tomba. Da informazioni assunte si calcola che in esso erano rifugiate dalle 400 alle 500 persone delle quali pochissime hanno potuto salvarsi."
Porta Santo Stefano (Ancona viene liberata dai polacchi)

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Erano le 14.30 del 18 luglio 1944 quando il Secondo Corpo d'armata Polacco, agli ordini del generale Anders, entrò ad Ancona e passò poi per la Porta di Santo Stefano dopo aver proceduto per le Grazie e lungo Valle Miano. Superata la Porta, si scese fino a raggiungere piazza Cavour.
Una giornata che venne raccontata anche in un articolo del "Dziennik Zolnierza APW" (Il Quotidiano del Soldato Polacco) del 20 luglio 1944 (the Polish Library Londra).
"...I tedeschi si difendono e sparano con le mitragliatrici, nascosti dietro gli edifici della stazione. Si arriva alla lotta corpo a corpo. I polacchi con le granate liquidano gli ultimi tedeschi che si difendono. Quelli che sparano dalle finestre dei piani superiori dell'edificio muoiono con il crollo dello stesso.
I carabinieri italiani aiutano i polacchi nel rastrellamento dei tedeschi rimasti in città. Molti sono stati trovati nascosti nelle case. Alle ore 15.00, mentre sulla piazza principale della città, Piazza Cavour, sventola già bandiera bianco rossa, la popolazione italiana esce dalle case e saluta calorosamente quelli che stazionano sulla piazza e quelli che stanno entrando in città.
Gli applausi si sentono senza interruzioni, verso i militari vengono lanciati fiori e spesso si offre loro del vino. La delegazione della città saluta gli Ufficiali polacchi in Municipio, sul quale vengono esposte le bandiere polacca, inglese, americana e italiana.
In tutte le chiese suanano le campane. Sempre più gente si fa vedere sulle strade. Da dieci giorni vivevano sotto la minaccia del terrore tedesco, senza acqua né luce..."
Una giornata che venne raccontata anche in un articolo del "Dziennik Zolnierza APW" (Il Quotidiano del Soldato Polacco) del 20 luglio 1944 (the Polish Library Londra).
"...I tedeschi si difendono e sparano con le mitragliatrici, nascosti dietro gli edifici della stazione. Si arriva alla lotta corpo a corpo. I polacchi con le granate liquidano gli ultimi tedeschi che si difendono. Quelli che sparano dalle finestre dei piani superiori dell'edificio muoiono con il crollo dello stesso.
I carabinieri italiani aiutano i polacchi nel rastrellamento dei tedeschi rimasti in città. Molti sono stati trovati nascosti nelle case. Alle ore 15.00, mentre sulla piazza principale della città, Piazza Cavour, sventola già bandiera bianco rossa, la popolazione italiana esce dalle case e saluta calorosamente quelli che stazionano sulla piazza e quelli che stanno entrando in città.
Gli applausi si sentono senza interruzioni, verso i militari vengono lanciati fiori e spesso si offre loro del vino. La delegazione della città saluta gli Ufficiali polacchi in Municipio, sul quale vengono esposte le bandiere polacca, inglese, americana e italiana.
In tutte le chiese suanano le campane. Sempre più gente si fa vedere sulle strade. Da dieci giorni vivevano sotto la minaccia del terrore tedesco, senza acqua né luce..."
Via di Pietralacroce (L'uccisione di Raffaele Raschia)

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"Raschia Raffaele
Ucciso dai fascisti
il 5 agosto 1922
nel 50 - anniversario
della morte
il Comune
pone questa lapide
a ricordo
1922 - 1972"
La memoria di questa lapide viene raccontata dal signor Sergio Santarello, Presidente del Collegio Revisore dei Conti della Società di Mutuo Soccorso 'Pace e Unione' di Pietralacroce, all'interno del libretto stampato in proprio per il centenario 1912-2012 del Circolo.
"Nello stesso anno (parliamo del 1972 ndr) c'è da ricordare l'apposizione di una lapide nella facciata esterna del circolo su Via Pietralacroce in memoria di Raffaele Raschia zio di Ennio Raschia assassinato il 04/08/1922 dalle squadracce fasciste provenienti da Perugia, proprio davanti alla società, che in realtà cercavano il fratello Enrico Raschia padre di Ennio ma alla richiesta di documenti che evidenziavano il cognome Raschia non hanno avuto esitazioni ed hanno proceduto alla barbara esecuzione."
Ucciso dai fascisti
il 5 agosto 1922
nel 50 - anniversario
della morte
il Comune
pone questa lapide
a ricordo
1922 - 1972"
La memoria di questa lapide viene raccontata dal signor Sergio Santarello, Presidente del Collegio Revisore dei Conti della Società di Mutuo Soccorso 'Pace e Unione' di Pietralacroce, all'interno del libretto stampato in proprio per il centenario 1912-2012 del Circolo.
"Nello stesso anno (parliamo del 1972 ndr) c'è da ricordare l'apposizione di una lapide nella facciata esterna del circolo su Via Pietralacroce in memoria di Raffaele Raschia zio di Ennio Raschia assassinato il 04/08/1922 dalle squadracce fasciste provenienti da Perugia, proprio davanti alla società, che in realtà cercavano il fratello Enrico Raschia padre di Ennio ma alla richiesta di documenti che evidenziavano il cognome Raschia non hanno avuto esitazioni ed hanno proceduto alla barbara esecuzione."
Via di Pietralacroce (Le lapidi dedicate a Bosdari e Barilari)

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Lungo via di Pietralacroce, nell'edificio a due piani di fronte al bar, vi sono due lapidi poste dai repubblicani di Pietralacroce, una a fianco all'altra. Quella a sinistra, venne messa nel 1906; quella a destra nel 1908.
Le lapidi stanno a commemorare due mazziniani: Giovanni Battista Bosdari, combattente con Garibaldi a Mentana; e Domenico Barilari, primo direttore del giornale 'Il Lucifero'.
Anche in questo caso le due lapidi avrebbero necessità di essere restaurate.
Le lapidi stanno a commemorare due mazziniani: Giovanni Battista Bosdari, combattente con Garibaldi a Mentana; e Domenico Barilari, primo direttore del giornale 'Il Lucifero'.
Anche in questo caso le due lapidi avrebbero necessità di essere restaurate.
La casa del pittore Francesco Podesti

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"Nella povertà d'aria e di luce
di questo sentiero
non salutato dal riso di fortuna
qui nasceva il XXI marzo MDCCC
Francesco Podesti
per spaziare nei campi dell'arte
infaticabile sereno
più celebrati pittori del suo tempo
emulo glorioso.
Lui vivente in Roma
Ancona per decreto consiliare XXI marzo MDCCCXCIII"
A metà di via Podesti, salendo sulla sinistra, c'è la casa del pittore anconetano Francesco Podesti, nato ad Ancona il 21 marzo 1800 e morto a Roma il 10 febbraio 1895.
Ospitata all'interno di Palazzo Bosdari, si trova la Pinacoteca intitolata a Podesti, che ne promosse l'istituzione fra il 1880 e il 1888 donando numerose sue opere, principalmente cartoni e bozzetti.
di questo sentiero
non salutato dal riso di fortuna
qui nasceva il XXI marzo MDCCC
Francesco Podesti
per spaziare nei campi dell'arte
infaticabile sereno
più celebrati pittori del suo tempo
emulo glorioso.
Lui vivente in Roma
Ancona per decreto consiliare XXI marzo MDCCCXCIII"
A metà di via Podesti, salendo sulla sinistra, c'è la casa del pittore anconetano Francesco Podesti, nato ad Ancona il 21 marzo 1800 e morto a Roma il 10 febbraio 1895.
Ospitata all'interno di Palazzo Bosdari, si trova la Pinacoteca intitolata a Podesti, che ne promosse l'istituzione fra il 1880 e il 1888 donando numerose sue opere, principalmente cartoni e bozzetti.
Valle Miano (La targa al filosofo e repubblicano Bovio)

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"Giovanni Bovio
repubblicano
filosofo letterato oratore
insigne
apostolo del libero pensiero
della giustizia sociale
della fratellanza dei popoli
e qui
ora i lavoratori di Valle Miano
5 ottobre 1952 - I repubblicani di Valle Miano"
Una lapide in suo ricordo si trova sul muro di un'abitazione a Valle Miano, di fronte alla chiesa. Giovanni Bovio, nato a Trani e morto a Napoli, era un filosofo ed un repubblicano.
repubblicano
filosofo letterato oratore
insigne
apostolo del libero pensiero
della giustizia sociale
della fratellanza dei popoli
e qui
ora i lavoratori di Valle Miano
5 ottobre 1952 - I repubblicani di Valle Miano"
Una lapide in suo ricordo si trova sul muro di un'abitazione a Valle Miano, di fronte alla chiesa. Giovanni Bovio, nato a Trani e morto a Napoli, era un filosofo ed un repubblicano.
La medaglia d'oro alla memoria di Emilio Bianchi

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"Medaglia d'Oro
Emilio Bianchi da Ancona
---
Soldato del Genio sempre primo ove più grave era il pericolo, raggiungeva sotto violento fuoco la trincea nemica.
Colpito da una granata avversaria, che gli asportava la gamba sinistra, con mirabile sangue freddo estraeva dalla tasca un coltello, e tagliando i lembi della carne sanguinante, alzava nella mano destra la gamba mozzata, gridando parole magnifiche di incoraggiamento ai propri compagni. Rivolgendosi poi al proprio ufficiale esclamava Viva l'Italia.
Il giorno seguente a causa delle gravi ferite riportate perdeva la vita.
Hudi Log - XXIV - V - MCMXVII
---
XVII – Giugno – MCMXXIII"
Emilio Bianchi, figlio di Valentino e Ginevra Silenzi, nacque ad Ancona il 22 febbraio del 1882. Visse per un periodo a Viterbo e divenne poi ristoratore a Roma (altri dicono a Palermo). Nel luglio 1916 fu arruolato nel 1° Reggimento Genio Zappatori ed inviato sul Carso con la 84^ Compagnia del I° Battaglione dove si distinse nel Vallone di Doberdò.
Nel gennaio 1917 fu gravemente ferito ad Hudi Log e dopo solo un mese chiese di rientrare al suo reparto. Dopo un breve periodo in cui fu destinato ai servizi logistici di compagnia tornò ad essere operativo ed a partecipare a tutti i più pericolosi fatti d'arme. Con decreto del 22 dicembre 1917 ricevette la Medaglia d'Oro alla memoria con la motivazione riportata sopra.
Emilio Bianchi da Ancona
---
Soldato del Genio sempre primo ove più grave era il pericolo, raggiungeva sotto violento fuoco la trincea nemica.
Colpito da una granata avversaria, che gli asportava la gamba sinistra, con mirabile sangue freddo estraeva dalla tasca un coltello, e tagliando i lembi della carne sanguinante, alzava nella mano destra la gamba mozzata, gridando parole magnifiche di incoraggiamento ai propri compagni. Rivolgendosi poi al proprio ufficiale esclamava Viva l'Italia.
Il giorno seguente a causa delle gravi ferite riportate perdeva la vita.
Hudi Log - XXIV - V - MCMXVII
---
XVII – Giugno – MCMXXIII"
Emilio Bianchi, figlio di Valentino e Ginevra Silenzi, nacque ad Ancona il 22 febbraio del 1882. Visse per un periodo a Viterbo e divenne poi ristoratore a Roma (altri dicono a Palermo). Nel luglio 1916 fu arruolato nel 1° Reggimento Genio Zappatori ed inviato sul Carso con la 84^ Compagnia del I° Battaglione dove si distinse nel Vallone di Doberdò.
Nel gennaio 1917 fu gravemente ferito ad Hudi Log e dopo solo un mese chiese di rientrare al suo reparto. Dopo un breve periodo in cui fu destinato ai servizi logistici di compagnia tornò ad essere operativo ed a partecipare a tutti i più pericolosi fatti d'arme. Con decreto del 22 dicembre 1917 ricevette la Medaglia d'Oro alla memoria con la motivazione riportata sopra.
La lapide dedicata a Garibaldi, la città e le camicie rosse

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Il nome di Giuseppe Garibaldi viene ricordato spesso in città, a partire dal Corso, intitolato precedentemente a Vittorio Emanuele II e quindi, nel 1946, al patriota e condottiero italiano.
Sono diversi infatti gli anconetani che hanno affiancato il generale. Primi tra tutti Antonio Elia (a cui è stato intitolato il 'Nautico') ed il figlio Augusto Elia (al quale è stata intitolata una via).
Antonio prese parte a molte battaglie al fianco di Garibaldi. Con l'assedio di Ancona da parte degli austriaci, venne fatto però prigioniero e fucilato nel 1849 nel carcere di Santa Palazia (protettrice di Ancona) che si trovava dove attualmente vi è l'anfiteatro, in via Birarelli.
Il figlio Augusto, a Calatafimi (1860) fece addirittura da scudo a Garibaldi rimanendo ferito in viso.
Garibaldi ebbe sempre parole di stima e di affetto nei confronti degli Elia. In una lettera ad Augusto, ricordando il padre Antonio appena fucilato, scrisse: "Mio caro Elia, Figlio del popolo, il padre vostro merita di essere annoverato tra i grandi italiani. Ancona ricordi quel probissimo suo cittadino che tanto l'onora".
Successivamente Augusto scrisse un diario, "Ricordi di un garibaldino" (scaricabile gratuitamente cliccando qui) che in parte riuscì a far leggere anche a Garibaldi il quale gli rispose "Mio caro Elia, i fatti esposti nel vostro Manoscritto sono esatti per ciò che riguarda quanto io ne conosco. Un caro saluto alla famiglia dal Sempre vostro G. Garibaldi. Caprera, 18-3-76".
Abbiamo poi Giovanni Battista Bosdari (lapide a Pietralacroce - Vedere sopra), che combattè nel Sesto reggimento garibaldini e quindi con Garibaldi a Mentana.
Sono diversi infatti gli anconetani che hanno affiancato il generale. Primi tra tutti Antonio Elia (a cui è stato intitolato il 'Nautico') ed il figlio Augusto Elia (al quale è stata intitolata una via).
Antonio prese parte a molte battaglie al fianco di Garibaldi. Con l'assedio di Ancona da parte degli austriaci, venne fatto però prigioniero e fucilato nel 1849 nel carcere di Santa Palazia (protettrice di Ancona) che si trovava dove attualmente vi è l'anfiteatro, in via Birarelli.
Il figlio Augusto, a Calatafimi (1860) fece addirittura da scudo a Garibaldi rimanendo ferito in viso.
Garibaldi ebbe sempre parole di stima e di affetto nei confronti degli Elia. In una lettera ad Augusto, ricordando il padre Antonio appena fucilato, scrisse: "Mio caro Elia, Figlio del popolo, il padre vostro merita di essere annoverato tra i grandi italiani. Ancona ricordi quel probissimo suo cittadino che tanto l'onora".
Successivamente Augusto scrisse un diario, "Ricordi di un garibaldino" (scaricabile gratuitamente cliccando qui) che in parte riuscì a far leggere anche a Garibaldi il quale gli rispose "Mio caro Elia, i fatti esposti nel vostro Manoscritto sono esatti per ciò che riguarda quanto io ne conosco. Un caro saluto alla famiglia dal Sempre vostro G. Garibaldi. Caprera, 18-3-76".
Abbiamo poi Giovanni Battista Bosdari (lapide a Pietralacroce - Vedere sopra), che combattè nel Sesto reggimento garibaldini e quindi con Garibaldi a Mentana.
C'è poi il conte Alessandro Malacari Misturi (di Offagna) comandante del Battaglione volontari della Guardia Nazionale, partito per la campagna contro i Borboni, in aiuto di Garibaldi e delle truppe Piemontesi nel 1861. "Questo Battaglione mobile - come viene citato anche nel libro "Da Capodemonte al Guasco" di Sanzio Blasi - partì alla volta di Rieti con alla testa la famosa bandiera (foto a destra) cucita clandestinamente dalle donne anconitane (le donne di casa Fazioli) negli ultimi tempi della dominazione austriaca e sventolò libera quando il sole del 29 settembre 1860 salutò Ancona liberata dall'Esercito Piemontese. Quel prezioso cimelio è sempre custodito gelosamente dalla Famiglia dei Conti Fazioli nella loro villa di Pietralacroce".
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Oggi il tricolore si trova in Comune (ex sala del Consiglio) dato che Michele Fazioli (una via della città è intitolata a lui) fu anche il primo sindaco di Ancona oltre che gonfaloniere, e prese pure parte ai moti del 1859. Il tricolore è incorniciato e riporta la seguente scritta: "Cimelio storico appartenente alla Famiglia Fazioli di Ancona. Affidato al Comune per volontà del Conte Giancarlo Fazioli. 22-8-1997".
Questi citati sopra, sono solo alcuni dei nomi, poiché in realtà sono diversi gli anconetani che hanno tra i propri bisnonni qualche garibaldino. Per questo motivo Ancona dedicò, come si vede nell'immagine in alto che riporta proprio il momento del suo scoprimento avvenuto il 4 luglio del 1907, una lapide in occasione del centenario della nascita del patriota e che è tuttora visibile osservando la facciata del Palazzo degli Anziani da piazza Stracca.
Questi citati sopra, sono solo alcuni dei nomi, poiché in realtà sono diversi gli anconetani che hanno tra i propri bisnonni qualche garibaldino. Per questo motivo Ancona dedicò, come si vede nell'immagine in alto che riporta proprio il momento del suo scoprimento avvenuto il 4 luglio del 1907, una lapide in occasione del centenario della nascita del patriota e che è tuttora visibile osservando la facciata del Palazzo degli Anziani da piazza Stracca.
Piazza del Plebiscito e la Giovane Italia

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Oltre al tricolore dei Fazioli (vedere sopra), va però ricordato che si narra anche di un altro “primo tricolore” esposto ad Ancona nel giorno della sua liberazione, il 29 settembre 1860.
Si tratta di quello di casa Schelini, che venne confezionato in lana dalle donne della famiglia durante i bombardamenti, e tenuto nascosto avvolto attorno al corpo, sotto gli abiti. L’abitazione di Domenico Schelini e di sua moglie Albina Sartini era in piazza del Plebiscito, al primo piano, con loggia, accanto alla torre. In questa casa, come ricorda una lapide posta vicino al portone, il 1° marzo 1832 si tenne la riunione del Comitato segreto con cui venne costituita la sezione anconitana della “Giovane Italia”.
Dopo la sua prima esposizione, la bandiera continuò ad essere sempre innalzata in occasione di riti patriottici e fu esposta personalmente, per anni, da Elisa Schelini Morelli, figlia di Domenico e Albina, alla finestra dell’abitazione dei Morelli.
I familiari di Elisa ricevettero la consegna che, alla sua morte, le sue spoglie ne fossero avvolte. Invece, costituitosi ad Ancona il Museo del Risorgimento e persuasa dal poeta e scrittore anconetano, Palermo Giangiacomi (1877-1939), la Schelini donò il sacro vessillo, con la scritta documentaria ricamata in giallo su nastro azzurro, al Museo stesso.
(Da documentazioni e memorie scritte e orali delle famiglie Schelini e Morelli).
Si tratta di quello di casa Schelini, che venne confezionato in lana dalle donne della famiglia durante i bombardamenti, e tenuto nascosto avvolto attorno al corpo, sotto gli abiti. L’abitazione di Domenico Schelini e di sua moglie Albina Sartini era in piazza del Plebiscito, al primo piano, con loggia, accanto alla torre. In questa casa, come ricorda una lapide posta vicino al portone, il 1° marzo 1832 si tenne la riunione del Comitato segreto con cui venne costituita la sezione anconitana della “Giovane Italia”.
Dopo la sua prima esposizione, la bandiera continuò ad essere sempre innalzata in occasione di riti patriottici e fu esposta personalmente, per anni, da Elisa Schelini Morelli, figlia di Domenico e Albina, alla finestra dell’abitazione dei Morelli.
I familiari di Elisa ricevettero la consegna che, alla sua morte, le sue spoglie ne fossero avvolte. Invece, costituitosi ad Ancona il Museo del Risorgimento e persuasa dal poeta e scrittore anconetano, Palermo Giangiacomi (1877-1939), la Schelini donò il sacro vessillo, con la scritta documentaria ricamata in giallo su nastro azzurro, al Museo stesso.
(Da documentazioni e memorie scritte e orali delle famiglie Schelini e Morelli).
La medaglia d'oro data alla cittadinanza da Umberto I

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"Ancona
assediata da terra e da mare
sdegnosa di straniero servaggio
agli austriaci restauratori del dominio teocratico
strenuamente resisteva
nell’impari lotta vinta e non doma
UMBERTO I°
nel cinquantesimo anniversario
ad onorare la virtù di popolo
decretava la medaglia d’oro al valore
premio alle città più gloriose
nei fasti dell’italico risorgimento
-------------------
Il COMUNE
a solenne ricordo
XVIII - Giugno - MDCCCXCIX"
E' una lapide oramai consumata dal tempo e impossibile da leggersi, che avrebbe bisogno di un restauro.
Posta sotto il quadrante dell'orologio a 6 ore, è la più grande tra le tre che si trovano sui muri del Palazzo degli Anziani e ricorda come la cittadinanza anconetana si fosse distinta nei fatti del 1849 e, per questo motivo, Umberto I volle concederle la medaglia d'oro, come si legge nel Regio Decreto n.178 "Che concede alla città di Ancona una medaglia d’oro in ricompensa del valore dimostrato dalla cittadinanza negli episodi militari del 1849 - 18 maggio 1899 Umberto I°".
Sempre nel documento a firma di Umberto I si continua a leggere: "[...] visto il Nostro decreto in data 4 settembre 1898 col quale venne creata una medaglia d’oro per [...] le azioni altamente patriottiche compiute dalle città italiane nel periodo del Risorgimento nazionale, sulla proposta del nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari dell'Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri; abbiamo decretato e decretiamo: articolo unico - Alla città di Ancona viene concessa la medaglia d'oro come sopra istituita in ricompensa del valore dimostrato dalla cittadinanza degli episodi del 1848. La medaglia d'oro sarà consegnata al Signor Sindaco di Ancona perché ne sia fregiato il gonfalone municipale. Ordiniamo che il presente decreto munito dei sigilli dello Stato sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia [...]"
In tutto le città che ricevettero la medaglia d'oro furono 27 (9 per volta suddivise in tre diversi periodi che vanno dal 1898 al 1942) e Ancona fu la 16^ città d'Italia ad essere decorata come "Benemerita del Risorgimento nazionale".
La medaglia recava sul recto l'effigie di Umberto I e, nel verso, una corona composta da un ramo di quercia e uno d'alloro, entrambi fruttati e intrecciati. Al centro del serto vegetale, lo spazio per "un accenno del fatto pel quale la medaglia viene concessa".
assediata da terra e da mare
sdegnosa di straniero servaggio
agli austriaci restauratori del dominio teocratico
strenuamente resisteva
nell’impari lotta vinta e non doma
UMBERTO I°
nel cinquantesimo anniversario
ad onorare la virtù di popolo
decretava la medaglia d’oro al valore
premio alle città più gloriose
nei fasti dell’italico risorgimento
-------------------
Il COMUNE
a solenne ricordo
XVIII - Giugno - MDCCCXCIX"
E' una lapide oramai consumata dal tempo e impossibile da leggersi, che avrebbe bisogno di un restauro.
Posta sotto il quadrante dell'orologio a 6 ore, è la più grande tra le tre che si trovano sui muri del Palazzo degli Anziani e ricorda come la cittadinanza anconetana si fosse distinta nei fatti del 1849 e, per questo motivo, Umberto I volle concederle la medaglia d'oro, come si legge nel Regio Decreto n.178 "Che concede alla città di Ancona una medaglia d’oro in ricompensa del valore dimostrato dalla cittadinanza negli episodi militari del 1849 - 18 maggio 1899 Umberto I°".
Sempre nel documento a firma di Umberto I si continua a leggere: "[...] visto il Nostro decreto in data 4 settembre 1898 col quale venne creata una medaglia d’oro per [...] le azioni altamente patriottiche compiute dalle città italiane nel periodo del Risorgimento nazionale, sulla proposta del nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari dell'Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri; abbiamo decretato e decretiamo: articolo unico - Alla città di Ancona viene concessa la medaglia d'oro come sopra istituita in ricompensa del valore dimostrato dalla cittadinanza degli episodi del 1848. La medaglia d'oro sarà consegnata al Signor Sindaco di Ancona perché ne sia fregiato il gonfalone municipale. Ordiniamo che il presente decreto munito dei sigilli dello Stato sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia [...]"
In tutto le città che ricevettero la medaglia d'oro furono 27 (9 per volta suddivise in tre diversi periodi che vanno dal 1898 al 1942) e Ancona fu la 16^ città d'Italia ad essere decorata come "Benemerita del Risorgimento nazionale".
La medaglia recava sul recto l'effigie di Umberto I e, nel verso, una corona composta da un ramo di quercia e uno d'alloro, entrambi fruttati e intrecciati. Al centro del serto vegetale, lo spazio per "un accenno del fatto pel quale la medaglia viene concessa".
Il portale della chiesa di Santa Maria della Misericordia... che non era lì

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"PORTALE
Di Marino Cedrino Veneziano
secolo XV°
già nella chiesa della
Misericordia al porto
distrutta dalla guerra nel 1943"
Appena fuori dalla galleria del Risorgimento, immettendoci in via Giannelli, sulla destra ci troviamo la chiesa di Santa Maria della Misericordia che finché non venne demolita dalle bombe del 1943, si trovava ai piedi del Palazzo degli Anziani, nell’attuale piazza Dante Alighieri.
Nata proprio in questa piazzetta, inizialmente era una cappella che venne fondata e costruita in una sola notte del 1349 (vedere immagine sotto) come è consuetudine per tutte le chiese dedicate alla Madonna della Misericordia. Una sola notte perché una pia tradizione voleva che così facendo, insieme ad altre usanze come ad esempio quella di far celebrare a 24 ore dall’inizio dei lavori una messa ad un novello sacerdote, la città venisse liberata dalla peste.
Di Marino Cedrino Veneziano
secolo XV°
già nella chiesa della
Misericordia al porto
distrutta dalla guerra nel 1943"
Appena fuori dalla galleria del Risorgimento, immettendoci in via Giannelli, sulla destra ci troviamo la chiesa di Santa Maria della Misericordia che finché non venne demolita dalle bombe del 1943, si trovava ai piedi del Palazzo degli Anziani, nell’attuale piazza Dante Alighieri.
Nata proprio in questa piazzetta, inizialmente era una cappella che venne fondata e costruita in una sola notte del 1349 (vedere immagine sotto) come è consuetudine per tutte le chiese dedicate alla Madonna della Misericordia. Una sola notte perché una pia tradizione voleva che così facendo, insieme ad altre usanze come ad esempio quella di far celebrare a 24 ore dall’inizio dei lavori una messa ad un novello sacerdote, la città venisse liberata dalla peste.
Nel 1399, la cappella venne conglobata nella chiesa che venne costruita successivamente, diventandone il presbiterio.
Con le bombe del 1 e poi del 7 novembre 1943, la chiesa venne rasa quasi al suolo. Si salvarono solo l'ambone (conservato al Museo Diocesano) e parte del portale rinascimentale d’influsso veneto, opera di Marino di Marco Cedrino (1475) che è stato poi utilizzato per l’attuale chiesa di Santa Maria della Misericordia (costruita nel 1957) in maniera tale da darle anche una continuità tra questa, e la vecchia chiesa. Della precedente, andando in piazza Dante Alighieri, si può notare come oltre la ringhiera sia rimasto solo un tratto del poligono absidale (che nell’immagine sopra è indicato dalle frecce). |
Guglielmo Marconi e l'esperimento radio dal Monte Cappuccini

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"Dall’alto colle dei Cappuccini, dal quale un giorno
tuonava il cannone degli stranieri per difendere ciò
che credevano un diritto d’altri ed era un’usurpazione,
oggi si spande per l’aria o si raccoglie la grande parola
di pace e fraternità
Agosto 2004
Al genio di Guglielmo Marconi
L’associazione Radioamatori
Italiani di Ancona
A memoria pose
Agosto 2004"
tuonava il cannone degli stranieri per difendere ciò
che credevano un diritto d’altri ed era un’usurpazione,
oggi si spande per l’aria o si raccoglie la grande parola
di pace e fraternità
Agosto 2004
Al genio di Guglielmo Marconi
L’associazione Radioamatori
Italiani di Ancona
A memoria pose
Agosto 2004"
Fu da un casottino sul colle Cappuccini, nei pressi del vecchio semaforo costruito nel 1860, che l’ammiraglio Guglielmo Marconi condusse degli esperimenti sulle onde radio per dimostrare come queste, in base ad alcuni fattori quali l’umidità, il giorno, la notte, il bello ed il cattivo tempo, cambiassero di potenza. Test che avvennero nei giorni dall'8 al 10 agosto del 1904 (la targa posta poi nell'agosto 2004 ne ricorda il centenario) che videro lanciare più volte il segnale dal colle anconetano fino alla stazione marconiana di Poldhu, in Cornovaglia (Regno Unito), distante 1.750 chilometri. L'arrivo in città di Marconi, porta invece la data del 5 agosto.
Il fisico bolognese giunse dunque nel porto di Ancona a bordo della Regia Nave "Sardegna", seguita da altre navi, e tutto ciò per la città fu un grande evento al quale prese parte pure la cittadinanza. L'ammiraglio venne ricevuto al Casino Dorico, il circolo interno al Teatro delle Muse che era situato al piano dove vi è la balconata che si affaccia su piazza della Repubblica e, una volta effettuati tutti i convenevoli di rito, si dedicò all'esperimento.
“Tutti poterono constatare con meraviglia – come viene ricordato dalla stessa Marina Militare - la chiarezza e la forza dei segnali, soprattutto considerando la limitata capacità dell'antenna della stazione, la grande distanza e la conformazione del terreno tra Ancona e Poldhu, e infine, la possibilità di quest'ultima stazione di impiegare soltanto un quarto dell'energia disponibile. Alle 12.40 del 10 Agosto Marconi lasciò Ancona a bordo del Sardegna, riaffermando, con innata modestia, che le onoranze tributategli erano ben superiori ai suoi meriti di semplice lavoratore”.
Di seguito, ecco allora i paragrafi più significativi desunti dalle cinque edizioni del quotidiano dell’epoca, "L'Ordine Corriere delle Marche" (oggi "Il Corriere Adriatico"), oltre alla documentazione pubblicata su "La conquista dell'Etere", da una ricerca di Gianfranco Gervasi, dell’Associazione Radioamatori Italiani sezione di Ancona.
"Venerdì 5 agosto 1904
- La Regia Nave Sardegna parte da Bari con a bordo Guglielmo Marconi e il Ministro delle Poste e Telegrafi Stelluti-Scaia, alla volta di Ancona.
- La stazione radiotelegrafica di Monte Cappuccini dal 1° agosto non presta più esclusivamente servizio per la Regia Marina, ma anche pubblico e commerciale. La tassa per i radiogrammi è di 63 centesimi a parola. Il raggio di azione è di 300 chilometri.
Sabato 6 agosto 1904
- Alle ore 16 circa, la R.N. Sardegna è giunta ad Ancona e si è ancorata fuori dal porto all'altezza dei Duomo. Con una lancia della stessa nave, montata da diciotto vogatori, la Giunta Comunale di Ancona ed altre autorità muovono dal molo verso la corazzata per porgere il benvenuto a Guglielmo Marconi.
Alle 17 il Ministro Stelluti, Marconi, il comandante della Sardegna ed il suo aiutante di bandiera scendono sulla banchina dei porto di Ancona gremita di folla mentre le bande suonano la marcia reale. Marconi veste di chiaro e cappello "Panama". Ad attendere gli illustri ospiti ci sono quattro landeau che li trasporteranno sino ai Cappuccini.
La stazione radiotelegrafica distava circa venti metri dal posto semaforico ed un furiere maggiore della Regia Marina ne era il capo posto. Marconi gli chiese varie informazioni e con il suo assistente Kemp illustrò ai presenti il funzionamento della stazione trasmettendo inoltre alcune parole.
Fuori della stazione erano installate due torri in ferro alte circa venticinque metri controventate con cavi metallici. Tra i due tralicci è tesa una corda di acciaio con agli estremi gli isolatori. Alla corda sono assicurati i fili conduttori ricoperti, i quali riuniti poi in un solo filo, entrano in stazione attraverso un isolatore nel centro di un'apposita finestra.
Il fabbricato della stazione contiene inoltre il locale ove sono collocati i manipolatori per la trasmissione e gli apparati riceventi. L'ufficio telegrafico è quello già esistente presso il semaforo, che è collegato con un cavo speciale alla Centrale Telegrafica di Ancona.
C'è poi la sala macchine dove un motore "Didjou" a benzina di sei cavalli aziona una dinamo che genera l'energia elettrica necessaria ai funzionamento della stazione stessa.
- Racconta il cronista del tempo: "... l'energia elettrica che si sviluppa al tocco del manipolatore (tasto) è fortissima e dai grossi rocchetti parte una scintilla producente un rumore secco, come una frustata di canna d'India su un tavolo".
Marconi sottolineò l'ottima ubicazione della stazione riservandosi di tornarci il giorno seguente per eseguire gli esperimenti sulla sintonizzazione degli apparati.
- Alle ore 20 si tenne un suntuoso banchetto presso l'Hotel Vittoria offerto dal Municipio di Ancona. Oltre a Marconi, gli ospiti erano il Ministro Stelluti, il cornandante della R.N. Sardegna comm. Nicastro, il generale on. Pistoia, l'assistente Kemp ed il segretario di Marconi sig. Kershaw.
- Ore 21:30 Marconi torna a bordo della Sardegna con la lancia che filava sui mare tranquillo, mentre centinaia di voci lanciavano nell'aria il grido entusiastico di "Viva Marconi!"
Domenica 7 agosto 1904
- Ore 9:15 Marconi, l'assistente Kemp e il segretario Kershaw nonché il comandante del Sardegna Nicastro e il capitano di corvetta Quintino Bonomo comandante la R.N. Colonna giunta ad Ancona in mattinata, si portano alla stazione radiotelegrafica di Monte Cappuccini ove si tratterranno sino alle ore 11 per condurre esperimenti.
- Ore 11 il ricevimento in Comune. In piazza del Municipio le guardie urbane ed i pompieri in alta uniforme sono schierati all'entrata dei Comune, dal cui balcone pendono la bandiera nazionale e quella di Ancona.
- Ore 22 grande ricevimento ai Casino Dorico dove Marconi dovette affacciarsi per rispondere alle acclamazioni della folla. E rivolgendosi al comandante Nicastro disse commosso: "E' proprio sorprendente!"
Mentre gli ufficiali delle navi si trattennero sino a tardi per il ballo, lo scienziato e i comandanti dei Sardegna e dei Colonna, indossati abiti da lavoro in una stanza appositamente allestita, alle 23:30 presero la strada per Monte Cappuccini alla volta della stazione radiotelegrafica dove passeranno la notte per gli esperimenti.
Lunedì 8 agosto 1904
- Trascorsa da pochi minuti la mezzanotte del 7 agosto Guglielmo Marconi e il suo seguito sono all'interno della stazione per ricevere i segnali che l'altra stazione da Poldhu in Cornovaglia, distante 1750 chilometri, avrebbe trasmesso secondo ordini ben precisi. Dalle una alle quattro (ora di Roma) doveva eseguire trasmissioni della durata di dieci minuti a intervalli di cinque minuti. Ogni trasmissione doveva essere così costituita: tre capito, un punto fermo, venti lettere "V" un punto fermo e tre capito finali. L'ultima trasmissione poi, doveva comprendere una breve frase di saluto e il nominativo della stazione.
- Alle una meno qualche minuto Marconi, dopo aver opportunamente sintonizzato gli apparati con la stazione di Poldhu, si mise in ascolto al detector ed alcuni istanti dopo porse il ricevitore al comandante della nave Sardegna e successivamente a tutti i presenti, compreso il capo semaforista Battelli e agli altri suoi dipendenti. Tutti poterono constatare con meraviglia la chiarezza e la forza dei segnali, principalmente in considerazione sia della limitata capacità dell'aereo della stazione, sia dei gran tratto di terre montuose interposte tra Monte Cappuccini e Poldhu, e sia, infine, perché quest'ultima stazione adoperava soltanto la quarta parte dell'energia disponibile.
Per dare un'idea della forza con cui si percepivano i segnali di Poldhu, basterà paragonarla a quella dei suoni che abitualmente si udivano al detector, dovuti ai segnali di una stazione distante circa trenta o quaranta chilometri e che trasmetteva con una scintilla di 6 o 7 mm.
Quando si pensa inoltre che il detector adoperato fu quello della stazione di Monte Cappuccini, e cioè uno dei regolamentari della Regia Marina, il cui ricevitore telefonico, per quanto buono, non poteva ritenersi un campione di sensibilità, si comprenderà maggiormente la sorpresa di allora per il felice risultato ottenuto.
I metodi per ottenere risultati così sorprendenti erano tanto semplici e sicuri che si poterono ottenere ricezioni da Poldhu non solamente nelle notti seguenti nella stessa stazione di Monte Cappuccini, ma anche successivamente nella stazione di Torre Piloti, sulla Regia Nave Sardegna e persino sulla Regia Nave Colonna il cui aereo, sebbene avesse lo sviluppo superiore all'ordinario, aveva un'elevazione sul ricevitore di soli 17 metri. Inoltre Marconi volle far constatare ai presenti gli effetti della luce solare sulle comunicazioni a grande distanza. E' noto che l'influenza della luce tende a ridurre la forza dei segnali e quindi la portata della trasmissione. Questi medesimi risultati furono ottenuti a bordo dal personale imbarcato in seguito alle istruzioni ricevute dallo stesso scienziato.
Mercoledì 10 agosto 1904
- Alle 3:15 Guglielmo Marconi unitamente al comandante Bonomo, all'assistente Kemp e al resto del seguito tornarono alla stazione di Monte Cappuccini. Poldhu aveva ricevuto ordine di fare le solite trasmissioni dalle quattro alle sette (ora di Roma). Fino alle quattro e venticinque i segnali giunsero, come al solito, forti e ben distinti: diventarono notevolmente più deboli dalle quattro e trenta alle quattro e quaranta, sino a rendersi assolutamente impercettibili alle quattro e cinquanta e cioè ventitré minuti prima che il Sole sorgesse all'orizzonte. E' inutile dire che anche questi risultati furono controllati con meraviglia da tutti i presenti.
- Alle 7:30 Marconi lascia definitivamente la stazione radiotelegrafica di Monte Cappuccini.
- Ore 12:30 le Autorità dei Comune di Ancona si recano a bordo della Regia Nave Sardegna per il commiato. Guglielmo Marconi, con quella modestia che gli è propria, che del resto si trova sempre negli uomini veramente sommi, insistè nel riaffermare che le onoranze tributategli erano superiori ai suoi meriti di semplice lavoratore. Alle ore 12:40 la Sardegna levava l'ancora diretta a Venezia mentre la Regia Nave Colonna, che l'aveva anticipata di circa un'ora, era già in rotta per la città lagunare."
Il 7 maggio del 2009 è stata inaugurata la sala museale intitolata al "Contrammiraglio Guglielmo Marconi", che si trova in via Cialdini 1, dove è allestita "una mostra attraverso la quale si snoda il viaggio nella storia della radio dalle prime sperimentazioni di Marconi fino ai nostri giorni con forti collegamenti con la Marina Militare e con la città di Ancona, da dove lo scienziato effettuò le trasmissioni dal Monte Cappuccini nel 1904. Un tributo al grande fisico che fu anche Ufficiale dell’allora Regia Marina e che a lungo collaborò con essa". Alla realizzazione del museo hanno contribuito la Regione Marche, la Provincia e il Comune di Ancona.
Il fisico bolognese giunse dunque nel porto di Ancona a bordo della Regia Nave "Sardegna", seguita da altre navi, e tutto ciò per la città fu un grande evento al quale prese parte pure la cittadinanza. L'ammiraglio venne ricevuto al Casino Dorico, il circolo interno al Teatro delle Muse che era situato al piano dove vi è la balconata che si affaccia su piazza della Repubblica e, una volta effettuati tutti i convenevoli di rito, si dedicò all'esperimento.
“Tutti poterono constatare con meraviglia – come viene ricordato dalla stessa Marina Militare - la chiarezza e la forza dei segnali, soprattutto considerando la limitata capacità dell'antenna della stazione, la grande distanza e la conformazione del terreno tra Ancona e Poldhu, e infine, la possibilità di quest'ultima stazione di impiegare soltanto un quarto dell'energia disponibile. Alle 12.40 del 10 Agosto Marconi lasciò Ancona a bordo del Sardegna, riaffermando, con innata modestia, che le onoranze tributategli erano ben superiori ai suoi meriti di semplice lavoratore”.
Di seguito, ecco allora i paragrafi più significativi desunti dalle cinque edizioni del quotidiano dell’epoca, "L'Ordine Corriere delle Marche" (oggi "Il Corriere Adriatico"), oltre alla documentazione pubblicata su "La conquista dell'Etere", da una ricerca di Gianfranco Gervasi, dell’Associazione Radioamatori Italiani sezione di Ancona.
"Venerdì 5 agosto 1904
- La Regia Nave Sardegna parte da Bari con a bordo Guglielmo Marconi e il Ministro delle Poste e Telegrafi Stelluti-Scaia, alla volta di Ancona.
- La stazione radiotelegrafica di Monte Cappuccini dal 1° agosto non presta più esclusivamente servizio per la Regia Marina, ma anche pubblico e commerciale. La tassa per i radiogrammi è di 63 centesimi a parola. Il raggio di azione è di 300 chilometri.
Sabato 6 agosto 1904
- Alle ore 16 circa, la R.N. Sardegna è giunta ad Ancona e si è ancorata fuori dal porto all'altezza dei Duomo. Con una lancia della stessa nave, montata da diciotto vogatori, la Giunta Comunale di Ancona ed altre autorità muovono dal molo verso la corazzata per porgere il benvenuto a Guglielmo Marconi.
Alle 17 il Ministro Stelluti, Marconi, il comandante della Sardegna ed il suo aiutante di bandiera scendono sulla banchina dei porto di Ancona gremita di folla mentre le bande suonano la marcia reale. Marconi veste di chiaro e cappello "Panama". Ad attendere gli illustri ospiti ci sono quattro landeau che li trasporteranno sino ai Cappuccini.
La stazione radiotelegrafica distava circa venti metri dal posto semaforico ed un furiere maggiore della Regia Marina ne era il capo posto. Marconi gli chiese varie informazioni e con il suo assistente Kemp illustrò ai presenti il funzionamento della stazione trasmettendo inoltre alcune parole.
Fuori della stazione erano installate due torri in ferro alte circa venticinque metri controventate con cavi metallici. Tra i due tralicci è tesa una corda di acciaio con agli estremi gli isolatori. Alla corda sono assicurati i fili conduttori ricoperti, i quali riuniti poi in un solo filo, entrano in stazione attraverso un isolatore nel centro di un'apposita finestra.
Il fabbricato della stazione contiene inoltre il locale ove sono collocati i manipolatori per la trasmissione e gli apparati riceventi. L'ufficio telegrafico è quello già esistente presso il semaforo, che è collegato con un cavo speciale alla Centrale Telegrafica di Ancona.
C'è poi la sala macchine dove un motore "Didjou" a benzina di sei cavalli aziona una dinamo che genera l'energia elettrica necessaria ai funzionamento della stazione stessa.
- Racconta il cronista del tempo: "... l'energia elettrica che si sviluppa al tocco del manipolatore (tasto) è fortissima e dai grossi rocchetti parte una scintilla producente un rumore secco, come una frustata di canna d'India su un tavolo".
Marconi sottolineò l'ottima ubicazione della stazione riservandosi di tornarci il giorno seguente per eseguire gli esperimenti sulla sintonizzazione degli apparati.
- Alle ore 20 si tenne un suntuoso banchetto presso l'Hotel Vittoria offerto dal Municipio di Ancona. Oltre a Marconi, gli ospiti erano il Ministro Stelluti, il cornandante della R.N. Sardegna comm. Nicastro, il generale on. Pistoia, l'assistente Kemp ed il segretario di Marconi sig. Kershaw.
- Ore 21:30 Marconi torna a bordo della Sardegna con la lancia che filava sui mare tranquillo, mentre centinaia di voci lanciavano nell'aria il grido entusiastico di "Viva Marconi!"
Domenica 7 agosto 1904
- Ore 9:15 Marconi, l'assistente Kemp e il segretario Kershaw nonché il comandante del Sardegna Nicastro e il capitano di corvetta Quintino Bonomo comandante la R.N. Colonna giunta ad Ancona in mattinata, si portano alla stazione radiotelegrafica di Monte Cappuccini ove si tratterranno sino alle ore 11 per condurre esperimenti.
- Ore 11 il ricevimento in Comune. In piazza del Municipio le guardie urbane ed i pompieri in alta uniforme sono schierati all'entrata dei Comune, dal cui balcone pendono la bandiera nazionale e quella di Ancona.
- Ore 22 grande ricevimento ai Casino Dorico dove Marconi dovette affacciarsi per rispondere alle acclamazioni della folla. E rivolgendosi al comandante Nicastro disse commosso: "E' proprio sorprendente!"
Mentre gli ufficiali delle navi si trattennero sino a tardi per il ballo, lo scienziato e i comandanti dei Sardegna e dei Colonna, indossati abiti da lavoro in una stanza appositamente allestita, alle 23:30 presero la strada per Monte Cappuccini alla volta della stazione radiotelegrafica dove passeranno la notte per gli esperimenti.
Lunedì 8 agosto 1904
- Trascorsa da pochi minuti la mezzanotte del 7 agosto Guglielmo Marconi e il suo seguito sono all'interno della stazione per ricevere i segnali che l'altra stazione da Poldhu in Cornovaglia, distante 1750 chilometri, avrebbe trasmesso secondo ordini ben precisi. Dalle una alle quattro (ora di Roma) doveva eseguire trasmissioni della durata di dieci minuti a intervalli di cinque minuti. Ogni trasmissione doveva essere così costituita: tre capito, un punto fermo, venti lettere "V" un punto fermo e tre capito finali. L'ultima trasmissione poi, doveva comprendere una breve frase di saluto e il nominativo della stazione.
- Alle una meno qualche minuto Marconi, dopo aver opportunamente sintonizzato gli apparati con la stazione di Poldhu, si mise in ascolto al detector ed alcuni istanti dopo porse il ricevitore al comandante della nave Sardegna e successivamente a tutti i presenti, compreso il capo semaforista Battelli e agli altri suoi dipendenti. Tutti poterono constatare con meraviglia la chiarezza e la forza dei segnali, principalmente in considerazione sia della limitata capacità dell'aereo della stazione, sia dei gran tratto di terre montuose interposte tra Monte Cappuccini e Poldhu, e sia, infine, perché quest'ultima stazione adoperava soltanto la quarta parte dell'energia disponibile.
Per dare un'idea della forza con cui si percepivano i segnali di Poldhu, basterà paragonarla a quella dei suoni che abitualmente si udivano al detector, dovuti ai segnali di una stazione distante circa trenta o quaranta chilometri e che trasmetteva con una scintilla di 6 o 7 mm.
Quando si pensa inoltre che il detector adoperato fu quello della stazione di Monte Cappuccini, e cioè uno dei regolamentari della Regia Marina, il cui ricevitore telefonico, per quanto buono, non poteva ritenersi un campione di sensibilità, si comprenderà maggiormente la sorpresa di allora per il felice risultato ottenuto.
I metodi per ottenere risultati così sorprendenti erano tanto semplici e sicuri che si poterono ottenere ricezioni da Poldhu non solamente nelle notti seguenti nella stessa stazione di Monte Cappuccini, ma anche successivamente nella stazione di Torre Piloti, sulla Regia Nave Sardegna e persino sulla Regia Nave Colonna il cui aereo, sebbene avesse lo sviluppo superiore all'ordinario, aveva un'elevazione sul ricevitore di soli 17 metri. Inoltre Marconi volle far constatare ai presenti gli effetti della luce solare sulle comunicazioni a grande distanza. E' noto che l'influenza della luce tende a ridurre la forza dei segnali e quindi la portata della trasmissione. Questi medesimi risultati furono ottenuti a bordo dal personale imbarcato in seguito alle istruzioni ricevute dallo stesso scienziato.
Mercoledì 10 agosto 1904
- Alle 3:15 Guglielmo Marconi unitamente al comandante Bonomo, all'assistente Kemp e al resto del seguito tornarono alla stazione di Monte Cappuccini. Poldhu aveva ricevuto ordine di fare le solite trasmissioni dalle quattro alle sette (ora di Roma). Fino alle quattro e venticinque i segnali giunsero, come al solito, forti e ben distinti: diventarono notevolmente più deboli dalle quattro e trenta alle quattro e quaranta, sino a rendersi assolutamente impercettibili alle quattro e cinquanta e cioè ventitré minuti prima che il Sole sorgesse all'orizzonte. E' inutile dire che anche questi risultati furono controllati con meraviglia da tutti i presenti.
- Alle 7:30 Marconi lascia definitivamente la stazione radiotelegrafica di Monte Cappuccini.
- Ore 12:30 le Autorità dei Comune di Ancona si recano a bordo della Regia Nave Sardegna per il commiato. Guglielmo Marconi, con quella modestia che gli è propria, che del resto si trova sempre negli uomini veramente sommi, insistè nel riaffermare che le onoranze tributategli erano superiori ai suoi meriti di semplice lavoratore. Alle ore 12:40 la Sardegna levava l'ancora diretta a Venezia mentre la Regia Nave Colonna, che l'aveva anticipata di circa un'ora, era già in rotta per la città lagunare."
Il 7 maggio del 2009 è stata inaugurata la sala museale intitolata al "Contrammiraglio Guglielmo Marconi", che si trova in via Cialdini 1, dove è allestita "una mostra attraverso la quale si snoda il viaggio nella storia della radio dalle prime sperimentazioni di Marconi fino ai nostri giorni con forti collegamenti con la Marina Militare e con la città di Ancona, da dove lo scienziato effettuò le trasmissioni dal Monte Cappuccini nel 1904. Un tributo al grande fisico che fu anche Ufficiale dell’allora Regia Marina e che a lungo collaborò con essa". Alla realizzazione del museo hanno contribuito la Regione Marche, la Provincia e il Comune di Ancona.
Via Maggini e la cappella di Santa Maria

La cappella settecentesca di Santa Maria
Non è segnata da una targa né da un cartello ma passando lungo via Maggini, all'altezza di Villa Igea sul lato destro in direzione Monte Dago (per l'esattezza: via Monte Carpegna), spesso e volentieri avrete notato una piccola cupola spuntare da dietro le siepi.
Come spiegò il Pirani, si tratterebbe della cappella settecentesca di Santa Maria, registrata tra quelle che vennero visitate dal vescovo Mancinforte nel periodo 1750-1754 e facente parte del territorio della parrocchia di San Giovanni Battista, nella zona del Montagnolo, che sotto la propria giurisdizione aveva anche la parrocchia di San Michele Arcangelo, dove oggi sorge la più moderna parrocchia del Pinocchio.
All'interno della cappella si trovava una statua della Madonna fatta in marmo. Il patronato era della famiglia Bernabei.
A tal proposito, vale la pena ricordare l'etimo di "Montagnolo" derivante dall'unione di "Mons" e "Angeli" ovvero Monte dell'Agnolo (quindi Montagnolo) dove l'Agnolo, nel medioevo, era l'Arcangelo San Michele.
Come spiegò il Pirani, si tratterebbe della cappella settecentesca di Santa Maria, registrata tra quelle che vennero visitate dal vescovo Mancinforte nel periodo 1750-1754 e facente parte del territorio della parrocchia di San Giovanni Battista, nella zona del Montagnolo, che sotto la propria giurisdizione aveva anche la parrocchia di San Michele Arcangelo, dove oggi sorge la più moderna parrocchia del Pinocchio.
All'interno della cappella si trovava una statua della Madonna fatta in marmo. Il patronato era della famiglia Bernabei.
A tal proposito, vale la pena ricordare l'etimo di "Montagnolo" derivante dall'unione di "Mons" e "Angeli" ovvero Monte dell'Agnolo (quindi Montagnolo) dove l'Agnolo, nel medioevo, era l'Arcangelo San Michele.
La lapide a Giordano Bruno (piazza Ugo Bassi)

La lapide (cliccare per ingrandire)
La lapide dedicata a Giordano Bruno che troviamo in piazza Ugo Bassi (un tempo ‘Piazza del Mercato’, oggi dedicata invece alla figura del barnabita garibaldino, Ugo Bassi, poi scomunicato dalla Chiesa) è dedicata al frate domenicano, teologo e filosofo, noto per aver contrapposto all’astronomia di Tolomeo quella di Copernico, ripudiando l’Aristotelismo.
Nato a Nola nel 1548, morì condannato al rogo nel 1600, a Roma, dopo essere stato arrestato dall’Inquisizione a seguito delle sue “eresie”.
La lapide che troviamo in piazza Ugo Bassi è una seconda lapide reintegrata nel 1947. La prima venne infatti distrutta dai fascisti proprio in occasione dei Patti Lateranensi del 1929. In basso a questa è infatti possibile leggere:
“La tirannide fascista
espressione di oscurantismo distrusse nel 1929.
Gli amanti della libertà
vollero rieternare sul marmo nel 1947”.
Forse, ciò avvenne a seguito di un accordo tacito che rientrava nei Patti Lateranensi essendo quella di Giordano Bruno una "figura scomoda". Questa ipotesi sorge se si pensa che molte lapidi dedicate a Giordano Bruno sono andate distrutte proprio in quel periodo mentre altre sono state reintegrate o, quando ‘sopravvissute’, spostate in luoghi meno visibili come ad esempio è accaduto nel vicino comune maceratese di Caldarola. Qui, infatti, la lapide dedicata a Giordano Bruno si trova quasi ‘in castigo’, dietro al portone del palazzo municipale, in piazza XXIV Maggio, invece che nella sua posizione originale che era la facciata dell’edificio.
Nato a Nola nel 1548, morì condannato al rogo nel 1600, a Roma, dopo essere stato arrestato dall’Inquisizione a seguito delle sue “eresie”.
La lapide che troviamo in piazza Ugo Bassi è una seconda lapide reintegrata nel 1947. La prima venne infatti distrutta dai fascisti proprio in occasione dei Patti Lateranensi del 1929. In basso a questa è infatti possibile leggere:
“La tirannide fascista
espressione di oscurantismo distrusse nel 1929.
Gli amanti della libertà
vollero rieternare sul marmo nel 1947”.
Forse, ciò avvenne a seguito di un accordo tacito che rientrava nei Patti Lateranensi essendo quella di Giordano Bruno una "figura scomoda". Questa ipotesi sorge se si pensa che molte lapidi dedicate a Giordano Bruno sono andate distrutte proprio in quel periodo mentre altre sono state reintegrate o, quando ‘sopravvissute’, spostate in luoghi meno visibili come ad esempio è accaduto nel vicino comune maceratese di Caldarola. Qui, infatti, la lapide dedicata a Giordano Bruno si trova quasi ‘in castigo’, dietro al portone del palazzo municipale, in piazza XXIV Maggio, invece che nella sua posizione originale che era la facciata dell’edificio.